Manca ancora qualche minuto al sorgere del sole in quel di Santa Fè de Yapacanì, piccolo pueblo nel dipartimento di Santa Cruz in Bolivia, e, davanti al cancello della casa delle Suore Rosarie, qui dal 1977, c’è già un gruppo di bambini, con zainetto sulle spalle e camicia bianca della divisa scolastica, che attende l’arrivo di Madre Raimonda per essere da lei accolti e poter iniziare la giornata con una tazza di latte ed un panino.
Ella è già sveglia da un paio d’ore perché ha acceso il fuoco sotto il gran pentolone d’acqua dove da anni versa il latte in polvere o la polvere di cacao che grazie alla generosità di benefattori in Italia acquista e prepara per tutti quei bambini e quei ragazzi e quei giovani che ha visto nascere e che ha accompagnato nel crescere con la sua vicinanza, la sua parola consigliera, la sua preghiera e che ora chiama per nome, uno ad uno informandosi sulla salute della mamma o del nonno o sul lavoro, spesso lontano e precario del papà.
Un segno di croce, non frettoloso, ma nemmeno stiracchiato, direi essenziale a richiamare sulle labbra il grazie per il dono della vita e del nuovo giorno, per affidare la famiglia tutta alla protezione della Vergine, per esprimere un “gracias para los benechores de Italia” (un grazie per i benefattori in Italia) e, dopo aver lasciato il soldino che è pegno di responsabilità e garanzia di distinguere la carità della semplice elemosina, ecco che si può prendere posto ai tavoli dove già fuma il latte, dove il panino fa bella mostra di sé con la sua fragranza e la sua ricchezza nutritiva.
E’ anche un’occasione per stare allegri, per salutare gli amici con cui poi andare a scuola, per vedere quelli più grandi che parlottano chissà di che, o per staccarsi dai fratellini più piccoli, seduti ai tavolini a parte per loro con le tazze e il panino più a misura e per raccomandare, a questi ultimi di tornare a casa dritti dritti, magari con un altro panino in tasca, raccolto di nascosto, para “l’abuelita” (la nonna) che è rimasta a casa.
Pochi minuti. E si cede il posto al gruppo successivo, per tre, tre ore e mezzo, così, di seguito, fino a che gli ultimi a venire, quelli che a scuola vanno al turno pomeridiano, possono rimanere qualche istante in più a stiracchiarsi o a chiacchierare.
Tutti però, e sono tra i 700 e i 900 ragazzi al giorno -la differenza dipende dal periodo: durante le vacanze spesso i figli seguono i genitori al campo, lontano, e allora non è possibile arrivare a Santa Fè al “desajuno” (colazione)- dopo aver mangiato lasciano il proprio posto raccogliendo la tazza e contribuendo personalmente ad un primo risciacquo, perché il grazie per il dono ricevuto sappia anche di collaborazione e di attitudine a fare altrettanto.
Madre Raimonda, spesso coadiuvata da suor Federica o dai volontari di passaggio, vigila e coordina fidandosi di dona Josefa e di alcune altre donne che ormai da anni l’aiutano in questa piccola, preziosa opera dal sapore molto evangelico.
A dona Josefa, che abita lì vicino e che possiede un forno, chiese di preparare il pane, fornendola degli ingredienti e pagandola per questo quotidiano lavoro, assicurandosi che il pane fosse “ben condito”, così da offrire “sostanza” ai bambini e lei, felice dell’opportunità lavorativa e della possibilità di essere lei stessa d’aiuto per i bambini di Santa Fè, arriva, ogni mattina con le ceste piene di pane, e distribuisce, prepara le scodelle e lava i tavoli, le panche, il pavimento, affinchè giorno dopo giorno quell’angolo di pueblo sia sempre consono alla bella immagine dipinta ad una parete da un giovane del posto e che raffigura Gesù tra i fanciulli. |